"Il segreto è fare tutto come se vedessi solo il Sole. Elisa"

giovedì 19 giugno 2014

Sportful Dolomiti Race: E’ un po’ come aver vinto.


Eccolo! Finalmente si mostra in tutta la sua bellezza, dietro una curva, quando ancora mancano cinque chilometri e cinquecento metri dislivello alla vetta. I più duri. E’ il Passo Manghen, e quello che vedo è tra l’affascinante e l’inquietante: cielo plumbeo, verde della montagna cupo e umido, e la strada che si inerpica a tornanti per il pendio, non si vede la fine, posso solo osservare i colleghi che salgono lentamente. Ero mentalmente preparato a questi ultimi chilometri duri, a quello che non ero pronto era alla giornata no.

E non è per le oltre quattro ore di pioggia, che sicuramente ha peggiorato la situazione. Sin dalle prime pedalate della salita precedente, Cima Campo, la strumentazione di bordo ha rilevato delle anomalie al sistema, cuore e gambe, sotto la norma. Di fatto da circa quattro ore lotto più con me stesso che con la strada, la salita e i colleghi. Il semplice atto di bere dalla borraccia mi manda in affanno. Sono preoccupato, e l’esperienza mi insegna che sarà una giornata interminabile.

Nonostante ciò, dopo la prima ascesa e discesa, in queste condizioni la discesa è più difficile della salita, resisto alla tentazione di girare per il Medio. La voglia di fare il Manghen è più forte della crisi.
Ovviamente gli oltre venti chilometri del Manghen mi presentano un conto salato, proprio qui, proprio negli ultimi affascinanti cinque chilometri, dove, in condizioni normali, sarebbe stato come entrare nel paese dei balocchi. Oggi invece devo fare i conti con la fatica, il freddo, i dolori ovunque e un ginocchio destro che improvvisamente decide di lamentarsi. Insomma, non sono neanche a metà del percorso, vedo quasi tutto nero, e pensieri funesti di abbandonare la “corsa” affollano la mente, anche perché a breve c’è un’altra difficile discesa da affrontare.

Sulla vetta, trovo Roby, un mio compagno. “Mi ritiro” dice. Lo guardo inebetito, vorrei dirgli qualcosa per fargli cambiare idea, ma l’unica cosa che mi esce, è “provo a scendere”. In pratica scappo per paura di rendere reali quei pensieri maligni fatti nell’ultima mezz’ora. Mi spiace davvero molto.

La discesa del Manghen, è una sottile lingua d’asfalto resa ancora più nera dall’abbondante acqua che gli scivola sopra, e sembra portare direttamente all’inferno. Sembra. Come spesso accade bisogna diffidare delle apparenze. Infatti, il premio per essere arrivati a fondovalle è assenza di precipitazioni, una strada asciutta ed una temperatura più mite. Finalmente dopo oltre cinque ore acqua e freddo, un po’ di tregua.

Il blackout continua, non tengo una ruota, gruppi che vanno a trent’allora sembra che volano a cinquanta, e la prima metà del Rolle è ancora sofferenza. Qui c’è un ristoro, e mi fermo, alla ricerca di the caldo. Nel frattempo passa Ale, che mi saluta, ma il mio tempo di reazione è quello di un bradipo, e ora che faccio tutti i collegamenti mentali, è già sparito. Il vederlo passare diventa un bell’incentivo a ripartire velocemente e cercare di riprenderlo. Cosa che incredibilmente mi riesce dopo qualche km. Poco importa se è lui che ha rallentato o io che, forse, sto iniziando ad uscire dalla crisi.

Finiamo il Rolle insieme. Ale ha trovato le parole giuste per distrarmi e farmi tornare velocemente in uno stato mentale totalmente positivo e sul passo sorrido per la prima volta da quando sono partito. Sembra un semplice sorriso, ma è una scossa di energia positiva che sento scorrere per tutto il corpo. Mi rendo altresi conte che ormai il più è fatto il meteo continua essere favorevole e mi posso godere i successivi quaranta chilometri di discesa.

Ci siamo. Il Croce d’Aune, l’ultima fatica di giornata. Sono ancora con Ale. Appena attacca la salita, mi dice “Vai pure, non sentirti in colpa. “Ma va! Dove vuoi che vada…” rispondo. Un paio di pedalate e mi rendo conto che qualcosa è cambiato. “Ale?...”  e lui mi urla qualcosa che non si può dire. Vado. Cuore e Gambe sembrano improvvisamente tornati ad un livello accettabile, mi permettono di liberare la soddisfazione per essere giunto sin li dopo ore di fatiche. La fatica la sento eccome, solo che è una fatica diversa, ora. Scollino sotto un diluvio, ormai sono diventato insensibile al’acqua.

Finalmente, dopo nove ore, entro in una città transennata stile giro d’itala, attraverso l’antico arco, e mi ritrovo davanti  l’arrivo più bello delle GF Italiane che ho fatto sinora. Quella rampa in ciotolato rosso, che porta alla piazza principale del paese. La rampa che cancella tutte le fatiche, la rampa che porta all’arrivo. E me la godo tutta quella rampa.

Giornata dura, durissima, per tutti, indipendente dal percorso affrontato e dal grado di allenamento. L’acqua e il freddo hanno notevolmente inasprito un percorso già duro di suo: duecentocinque chilometri e quasi cinquemila metri di dislivello non sono una passeggiata in condizioni normali.

Oggi ci voleva coraggio a partire. Oggi ci voleva testa per arrivare.

Soddisfatto di aver tenuto testa ad una giornata davvero dura.


E’ un po’ come aver vinto.

Nessun commento: